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Boston, USA

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linea di fuga verso il mare

martedì 15 aprile 2008

La gabbia

(da Ed altro in Le stagioni delle Parole. 1994.)

Ci sono cose e cose. Cose per le quali vale vivere. Cose per le quali vale morire. E, poi, tutte le altre per le quali non vale niente.

Elena lo capì guardando negli occhi, quel quanto indivisibile d’uomo che con un sorriso azzurrino stava elaborando la solita scusa per fare tardi la sera. Il suo dire perdeva a poco, a poco senso e il suo corpo acquistava un nuovo spessore.

Liberata dalle vocali, sillabe e consonanti che la strutturavano in un complesso d’artefici, la sua nudità emergeva pallida e informe, come spettro di cosa che non riusciva a fondersi in quel insieme di fonemi.

Elena seguiva l’evolversi dei suoni e il suo occhio come un bisturi tagliava una parola, un riflesso, un sorriso e via, via che incideva, la gabbia si sfaldava rivelando il primordiale. Finita la sua operazione, anch’egli smise di parlare. Si guardò le unghie della mano destra, sistemò un sopracciglio e un sorriso giallino di compiacenza apparve per pochi attimi in quella bocca leggermente socchiusa che lasciava, volutamente, intravedere il biancore degli incisivi.

Era un esemplare maschio di uomo decisamente ben fatto, con una muscolatura forte e una criniera salda e ricciuta. Anche il suo torace era cosparso di pelo che si intravedeva dalla camicia. Era nelle sue movenze un che di primitivo e di felino.

Ecco - si disse Elena - una cosa per la quale non vale niente.

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